Il Punto02. Invito all'ascolto

Ursula K. Le Guin in The Carrier Bag Theory of Fiction (1986) propone di abbandonare le storie d’azione e di successo incentrate sugli eroi, con protagoniste armi fallocentriche e temporalità lineari di conquista e distruzione, per ripensare l’evoluzione umana attraverso uno strumento diverso: la borsa da trasporto, presupposto per raccogliere, foraggiare e collezionare; per contenere e ricevere piuttosto che per attaccare, colpire e uccidere.

L’autrice chiede di raccontare storie nuove, riconoscendo al contempo che le persone tessono, seminano, cantano, raccontano e scrivono storie non eroiche fin dall’inizio dei tempi.

“Pensare come una montagna” è per noi questa sacca, questo guscio: legami che intrecciano legami, storie che raccontano altre storie, per dirla parafrasando Donna Haraway[1].

Parte delle storie raccontate in questa prima fase del programma hanno sollecitato i territori come luoghi di socialità attraverso il pensiero sonoro, evidenziando come il suono abbia il potere di connettere l’umano al mondo in modi profondi e significativi.

È la significanza della voce, la piena presenza del suono nelle nostre vite, l’insieme polifonico di prospettive e libertà che si trovano a coesistere, abitare uno spazio, dialogare tra loro, avendo anche il coraggio di essere talvolta discordanti, a occupare una posizione centrale nella pratica di Sonia Boyce. In questo senso, l’agency sonora – la voce, ma anche l’ascolto – diventa un atto politico e trasformativo perché coltiva empatia, cura e sensibilità verso “l’altro”.

Benevolence inizia con la contemplazione delle volte decorate della Sala Tassiana, con gli affreschi seicenteschi di grottesche e allegorie delle virtù dei buoni governanti di Pietro Baschenis che hanno ispirato il titolo dell’opera di Boyce.

È la benignità, raffigurata da una donna che si preme il seno da cui esce copioso latte che nutre diversi animali, su cui l’artista sceglie di porre l’accento. È stato osservando questa figura che sparge con amore ciò che la natura le ha donato che la cantante ha intonato spontaneamente il Kyrie Eleison, una delle più antiche litanie della liturgia cristiana, il cui significato originale, conservato dal rito bizantino, può essere tradotto come “Signore mostraci la tua benevolenza”. La preghiera è intervallata ritmicamente dalla declamazione delle virtù.

Chiude la prima sequenza quella che pare essere un’esplicita richiesta “Silenzio”, accolta da Boyce come un altrettanto esplicito invito all’ascolto: ascolto come consapevolezza empatica.[2]

Studiando il comportamento e l’interazione con l’ambiente di tre uccelli di specie diverse, l’artista Mercedes Azpilicueta ha sviluppato la performance Que este mundo permanezca.

Ricordo che l’Oasi della Biodiversità di Brembate (il luogo che ha ospitato l’azione) è sembrata essere avvolta dal silenzio, nonostante il folto gruppo presente e la sua collocazione geografica in uno dei poli industriali della provincia di Bergamo.

Che tipo di silenzio abita quel luogo?

In Living as a Bird (2019), la filosofa belga Vinciane Despret mappa una differente traiettoria di interpretazione delle teorie scientifiche sul comportamento animale, non per cercare di determinare la causa primaria del canto degli uccelli, quanto per arricchire il panorama ermeneutico di tutti i possibili significati del loro agire. Molti gli studi analizzati, ma i suoi access point teorici sono Gilles Deleuze e Félix Guattari, di cui Despret fa proprio il concetto di territorio come “strumento di espressione”; e Donna Haraway e Baptiste Morizot da cui recupera l’incoraggiamento a portare nella propria esistenza altri modelli di attenzione e dell’essere consapevoli dei molteplici modi dell’esistenza.

Leggendo questo volume, che evidenzia il ruolo centrale del canto nel processo di territorializzazione degli uccelli (“sung territories”), ci è sembrato di poter rintracciare delle coordinate per leggere la storia del martin pescatore, del picchio verde e dell’upupa dell’Oasi e non solo. L’autrice evidenzia come il canto non sia solo un modo per segnare un territorio, ma una forma complessa di interazione che coinvolge reciprocità e adattamento.

In un’intervista per “Le Monde” del 2019 Donna Haraway suggerisce, come appropriato per la nostra epoca, l’uso del termine Fonocene. Nell’ambito della Biennal de Pensament di Barcellona, Despret e Haraway tornano a parlare insieme di Fonocene non per categorizzare un’era geologica, quanto piuttosto per esprimere un invito ad ascoltare, a prestare attenzione ai canti degli uccelli, delle balene, al ronzio degli insetti come espressione di modi diversi di abitare la Terra, in tempo utile perché non scompaiano. Il dialogo intorno a un’era del suono riguarda tutte le voci, siano esse umane o non umane, artificiali o organiche, immaginarie o reali, che, secondo le due studiose, avevamo smesso di ascoltare e che molti hanno riscoperto durante il silenzio imposto dal lockdown.

Vivere nel Fonocene è un invito a moltiplicare le versioni di mondo possibili, è produrre una molteplicità di narrazioni. È la pratica etica e critica che speriamo di portare sempre con noi nella sacca di “Pensare come una montagna”.

Vivere la nostra epoca chiamandola “Fonocene”, significa imparare a prestare attenzione al silenzio che il canto di un merlo può portare nell’esistenza.[3]

Valentina Gervasoni


[1] Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Roma, Nero, 2019.
[2] Si legga l’approfondito saggio di Brandon LaBelle intorno a Benevolence: The Joy of Cacophony, Milano, Lenz, 2024.
[3] Vinciane Despret, Living as a Bird (2019), Medford: Polity Press, 2022, p. 161 [traduzione dell’autore”]

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